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dalle "anglo-italian relations" alle "anglo-southern relations"

una proposta postcoloniale

Luigi Cazzato

Cazzato Grand Tour rovesciatoGrand Tour Rovesciato

1. anglo-italian studies

A tutti è nota quella sotto-area che tradizionalmente va sotto il nome di "Anglo-Italian studies" e la relativa locuzione "Anglo-Italian relations". Sicuramente meno noto è il neologismo "Anglo-Southern studies/relations", punto di arrivo della presente proposta.

Credo che la questione del 'fare il postcoloniale' in Italia, in genere, e all'interno dell'anglistica italiana, in particolare, non possa prescindere dalla rilettura di ciò che vanno sotto il nome di "relazioni anglo-italiane" e dalla riflessione sui relativi studi. Fin qui, in Italia, pochi si sono preoccupati di interrogare i rapporti di Inghilterra e Italia sotto la luce postcoloniale. Non molti si sono chiesti se nella modernità questi rapporti non siano stati 'vissuti' e 'rappresentati', per dirla in breve, secondo una relazione asimmetrica di potere. Raramente, per quelle che sono state le mie letture, c'è stata consapevolezza storica di questa dimensione nell'anglistica italiana, se si escludono alcuni scritti di Mario Praz (e quelli della storica rivista English Miscellany – 1950-1983 – da lui diretta). Praz ci ricorda che la nostra reputazione presso gli inglesi cominciò a decadere sin dalla metà del Seicento, e quando essi riscoprirono l'Italia fra Settecento e Ottocento.

Eran gli anni in cui gl'inglesi acquistavano piena coscienza della loro forza e della loro saggezza; si sentivano i veri eredi non solo delle virtù repubblicane, ma anche delle glorie imperiali dell'antica Roma; la condanna cadeva tanto più pesante sui degeneri italiani, ignoranti, superstiziosi, servili, celanti la loro immoralità sotto l'orpello d'una decaduta bellezza. (Praz 215)

Pochi altri hanno registrato con una certa lucidità il bisogno della nascente Englishness di formarsi a spese delle culture di altri paesi europei, fra cui l'Italia. Non è un caso, dunque, se le più importanti pubblicazioni che hanno apportato nuova linfa teorico-critica in quest'ambito o sono straniere o appartengono ad altri ambiti disciplinari.1 Raramente negli studi di chi si occupa dei rapporti letterari e culturali fra Inghilterra e Italia si è preoccupato di collocare gramscianamente questi rapporti nella dimensione dove essi appartengono, una dimensione in cui una parte è egemone e l'altra subalterna. È questo materialismo geografico che è mancato per cogliere ciò che nelle rappresentazioni d'oltremanica c'era: "l'Italia come sud", con tutte le conseguenze che un tale posizionamento comporta. Ecco perché la locuzione "Anglo-Italian relations" si rivela stretta e inadeguata alla rappresentazione di tale dimensione. "Anglo-Southern relations", ovvero i rapporti fra Inghilterra e Italia come sud, sud dell'Europa e, entro certi limiti, sud del mondo, credo sia più proficua.2

2. la linea Said-Cassano-Chakrabarty-Chambers

Ecco, soprattutto, perché fra gli autori della triade postcoloniale Said-Spivak-Bhabha è Said quello determinante, poiché il suo Orientalismo (1978), non solo ha aperto la strada agli studi postcoloniali, ma ha svincolato il materialismo geografico gramsciano dalla dimensione italiana per lanciarlo su scala planetaria. Fondamentali sono stati anche Dipesh Chakrabarty (del gruppo indiano dei Subaltern Studies) e Iain Chambers (proveniente dal Centre for Contemporary Cultural Studies). Il Provincialising Europe (2000) del primo, opponendo una corrosiva critica allo storicismo sia di stampo marxista sia liberale, fa giustizia delle idee di modernità e progresso, fondate per almeno tre secoli proprio su quella filosofia e visione della storia; Mediterranean Crossings: The Politics of an Interrupted Modernity (2008), del secondo, vede il mare fra le terre come un mare postcoloniale, in cui l'egemonia della sponda nord, sotto il condizionamento della spinta modernizzante e colonizzante nordeuropea (soprattutto britannica) ha fatto dimenticare le sue "molte voci", come recita il titolo dell'edizione italiana.3 Una di queste voci è stata sicuramente quella del Mezzogiorno italiano. Arriviamo così a Franco Cassano, l'autore di Pensiero meridiano (1996), che ha sollevato proprio il problema della voce di questa parte d'Italia e d'Europa, il problema della soggettività di un sud che a partire da un certo punto in poi nella storia ha smesso di essere soggetto di pensiero per diventarne oggetto. È interessante notare come il testo più vecchio fra quelli presi in considerazione, se escludiamo Said, è proprio quello di Cassano, il cui studio (non ufficialmente postcoloniale) viene pubblicato pochi anni dopo The Empire Writes Back: Theory and Practice in Post-Colonial Literature (1989).

3. meridionismo

Nella storia del processo identitario europeo c'è stato un momento in cui nella funzione di "constitutive outside" l'Oriente, come antitesi esterna, sembra essere stato accostato dal Meridione, ovvero al Mediterraneo settentrionale, come antitesi interna. Questo 'momento' ha inizio con la teoria dei climi di Montesquieu del 1748, si consolida poi con le teorie geo-letterarie romantiche del gruppo di Coppet, che ruota intorno a Madame de Staël, e riceve infine il sugello da Hegel. Il quale pensa che il vero teatro della storia mondiale sia l'Europa, "invero la sua metà settentrionale, poiché la terra è come un continente" più compatta e omogenea (71). La sua parte meridionale, invece, più frastagliata e divisa  sembra suggerire Hegel  ha più difficoltà a formare civiltà moderne e coese.

Non sorprende allora che fra le categorie maggiormente vantaggiose per lo studio delle relazioni anglo-meridionali c'è quella saidiana di "orientalismo", da cui la filiazione, secondo me non storica ma solo concettuale, di "meridionismo". Il neologismo "meridionismo"4 è stato usato per la prima volta da Manfred Pfister nella sua antologia di travelogue The Fatal Gift of Beauty: The Italies of British Travellers (1996). In questa antologia si leggeva:

Even if this intra-European Meridionism has not had the same far-reaching and devastating political consequences that Orientalism brought upon mankind by legitimising colonialism, the disempowerment, exploitation, and humiliation of almost all non-European peoples, it has played an incisive role in the formation of British and European cultural self-understanding. (Pfister 3)

Se la categoria del meridionismo è adottata per la prima volta da Pfister, egli tuttavia non l'approfondisce. Tanto che, secondo me, non ne coglie tutto il suo potenziale. Soprattutto ne svuota la forza critica quando afferma, per esempio, che nell'opposizione 'centro-periferia', una delle tante opposizioni semantiche che derivano da quella principale 'nord-sud', i poli sono reversibili. Sono reversibili a seconda che si viaggi verso sud, alla ricerca del centro di quella che fu l'infanzia dell'Europa (con l'Europa del nord come periferia), o si viaggi verso sud alla ricerca della periferia, quella sorta di "inner-European Third World" (Pfister 5) con lo sguardo di chi viene dal primo (adesso centro). In realtà, questa coppia semantica mantiene sempre lo stesso segno '+' per l'Inghilterra e '–' per l'Italia, sia che gli inglesi vadano alla ricerca del glorioso passato classico sia che vadano alla ricerca dell'arretrato presente moderno. Insomma, c'è uno sguardo alterizzante e un differenziale di potere fra la cultura inglese e quella italiana che non permette reversibilità di segno nel valore dei luoghi dati.

Qualche esempio. Il sud per i romantici inglesi era sublime visione del sepolcrale passato delle origini europee, il Nord, soddisfatta e rassicurante constatazione del vivo presente, dove la Civiltà aveva trovato riparo sicuro, fuggendo dal sud degradato e corrotto. Da qui la difficoltà nell'accettazione degli italiani 'moderni', che ai loro occhi moderni non erano affatto (cfr. Luzzi). Bastino un paio di citazioni. S.T. Coleridge, di stanza a Malta fra il 1804 e il 1806, considera il passaggio dal protettorato britannico di Malta alla Sicilia il passaggio "from the highest specimen of an inferior race, the Saracenic, to the most degraded class of a superior race, the European" (282). Percy Bysshe Shelley, una volta arrivato sul suolo italiano ("Thou Paradise of exiles, Italy!"5), trova due Italie:

one composed of the green earth & transparent sea and the mighty ruins of ancient times ... The other consists of the Italians of the present day, their works & ways. The one is the most sublime & lovely contemplation that can be conceived by the imagination of man; the other the most degraded disgusting & odious. (Letters 67)

Come leggere, dunque, la celebre sentenza del Dr Johnson: "A man who has not been in Italy is always conscious of an inferiority, from his not having seen what it is expected a man should see. The grand object of travelling is to see the shores of the Mediterranean" (Boswell 742)? Se letto postcolonialmente, questo passo, in realtà, ci dice non dell'inferiorità di quegli inglesi che non avessero visto le rive del Mediterraneo, ma della loro affermantesi superiorità, la cui Englishness, però, aveva un pedigree così carente che poteva essere irrobustito solo andando a appropriarsi delle gloriose, ancorché degradate e papiste, sponde delle passate potenze della classicità.

Saltiamo a piè pari la questione se sia nato prima l'orientalismo o il meridionismo (secondo me, nascono insieme, come più o meno nello spesso periodo gli orientalisti francesi depredano le piramidi egizie e gli archeologi inglesi saccheggiano i templi greci, in quella che era considerata la culla della civiltà europea). Aggiungiamo solo: posto che le due formazioni discorsive condividano il repertorio dell'Altro al contempo come esotico e arretrato, l'elemento che le differenzia è il diverso peso che questi due cliché hanno nel loro dispiegarsi. Siccome il meridionismo serviva all'Europa del nord, e agli inglesi in particolare, alla costruzione della propria identità di popolo moderno e quindi superiore, è chiaro che i popoli mediterranei dovevano essere irrimediabilmente arretrati più che misteriosamente esotici.

4. meridianismo

È qui che arrivano gli apporti decisivi del pensiero postcoloniale e del pensiero meridiano, i quali congiuntamente interrompono la grande narrazione della modernità singola, che fa diventare arretrato tutto ciò che ad essa non si conforma: modernità multiple, critica dell'idea di progresso lineare infinito e, soprattutto, inversione dello storico rapporto fra modernità e sud. Ovvero, si invita a non pensare più "il sud alla luce della modernità, ma la modernità alla luce del sud" (Cassano 5). Se raccogliamo l'invito di Cassano, improvvisamente, molto può cambiare. Ciò che prima era un deficit può rivelarsi una risorsa. Tutto ciò che prima era arretratezza può diventare solo un differente modo di declinare la modernità, o di resistere all'imperio della modernizzazione proveniente da nord-ovest.

Prendiamo il topos classico del dolce far niente, dell'indolenza, la storica pigrizia che tanti viaggiatori inglesi hanno registrato a latitudini meridionali. Per Charles Dickens, ad esempio, Pisa è in mano ai mendicanti e la sua popolazione vive in uno stato di perenne siesta.

If Pisa be true seventh wonder of the world in right of its Tower, it may claim to be, at least, the second or third in right of its beggar [... who] seem to embody all the trade and enterprise. Nothing else is stirring, but warm air. (109)

Oggi, nell'impero dell'homo currens occidentalis, scopriamo che la famigerata e supposta 'lentezza' meridionale può diventare una risorsa per combattere il demone della velocità, che da secoli fa galoppare le società occidentali ciecamente verso le supposte magnifiche sorti e progressive.

 

5. italia postcoloniale? anglo-southern studies

L'approccio postcoloniale, in primis, ci permette di intercettare questa visione stereotipata, che spesso è passata sotto silenzio, in secundis, ci permette di 'vedere' questa visione sotto una luce ben precisa, quella luce che è stata proiettata per convenzione da un nord 'moderno' su un sud 'arretrato'. Qui per sud è da intendersi tutta quell'Italia che viene vista come 'sud', ovvero come l'Altro del nord. Il confine fra nord e sud è stato un confine storicamente mobile e ha attraversato a varie latitudini proprio la penisola italiana. Abbiamo visto prima, Coleridge questo confine lo traccia nel canale di Sicilia, l'ultima Thule della civiltà europea, la sua parte più degradata, quasi non più Europa. Per altri, questo confine è più a nord: a volte sono le Alpi, altre volte (notoriamente per Montesquieu) sono gli Appennini a fare da barriera naturale, altre volte ancora il Po o il Tevere. Possiamo dire, tuttavia, che dalla lettura delle rappresentazioni nordeuropee del territorio italiano, emerge che questo confine si sedimenti saldamente sin dai primi dell'Ottocento all'altezza di Napoli, dove, per esempio, il poeta e ufficiale napoleonico Creusé de Lesser certifica che l'Europa finisce, "et même elle y finit assez mal. La Calabre, la Sicile, tout le reste est de l'Afrique" (96).

Ecco allora che il sud europeo viene guardato dagli inglesi, come dai francesi, in un modo non dissimile da quello con cui essi guardavano le colonie che via via accumulavano nel corso del tempo. Insomma, per dirla con la provocazione di Gnisci, si tratta di vedere l'Italia o parte di essa come Colonia Europae, oppure, meno provocatoriamente e più verosimilmente, come una sorta di semi-colonia di sfruttamento economico-diplomatico delle potenze nord-europee (si pensi solo al ruolo politico-economico dell'Inghilterra o quello politico-militare della Francia nella storia risorgimentale italiana). Chambers nel suo libro sul Mediterraneo è abbastanza adamantino su questo, sostenendo che la divisione interna italiana è il risultato dell'intervento di forze esterne, specie quelle inglesi, le quali, attraverso la Royal Navy,

supervised the structural undoing of the relationship between a commercial and industrial northern Italy and its complementary relationship to the agricultural south. Both the north, with its own commerce, cloth and silk industries subordinated to the needs of London and the emerging English textile industry, and the agricultural south were equally transformed into sources of primary materials for the markets and merchandising of northern Europe and the Atlantic seaboard. By 168o, the conditions of the "Southern Question" – economic underdevelopment, social backwardness, and cultural isolation from northern Italy - had been established, not so much via Spanish domination of the Kingdom of Naples or northern Italian "progress", where capital once invested in seagoing ventures was now conserved in the security of land and revenue, as by English mercantile hegemony in the Mediterranean. (112)

Insomma, la proposta è di inserire i rapporti fra l'Italia, specie il sud (in quest'ottica, possiamo sicuramente parlare di Mezzogiorno postcoloniale a tutti gli effetti), e l'Inghilterra nel quadro dei rapporti di tipo coloniale fra quest'ultima e il sud del mondo. Da qui il neologismo "relazioni anglo-meridionali".

In conclusione, se esistono delle ragioni per 'fare postcoloniale' in Italia, sicuramente una di esse è la riapertura degli archivi locali. In questo modo, oltre ad allontanare gli studi postcoloniali dal sospetto di esotismo, potremmo rileggere questi archivi nel contesto più grande e generale dei destini globali.

1. Si vedano i numerosi lavori del comparatista A. Gnisci sulla "decolonizzazione della mente"; l'eloquente Italy's'Southern Question': Orientalism in One Country a cura dell'antropologa Jane Schneider; The View from Vesuvius: Italian Culture and the Southern Question dell'italianista americano Nelson Moe; i saggi della studiosa polacca di storia economica e sociale delle periferie europee Marta Petrusewicz e quelli della rivista Meridiana, che ha dato vita a un pensiero neo-meridionalista sulla spinta della lettura di Edward Said; Europe (in Theory) dello studioso di Romance Studies alla Duke University Roberto M. Dainotto, che ha provato con risultati convincenti a decostruire la master narrative imperiale partendo non dai margini dell'impero ma dai margini dell'Europa; L'invenzione del Sud. Migrazioni, condizioni postcoloniali, linguaggi letterari a cura degli italianisti Bruno Brunetti e Roberto Derobertis, che però vede la partecipazione di anglisti. Una rivista di anglistica che recentemente ha posto al centro dell'attenzione i rapporti fra la cultura inglese e il sud, in senso lato, è Fogli d'anglistica, diretta da Elio Di Piazza.

2. Un volume a mia cura è uscito proprio con il titolo Anglo-Southern Relations: From deculturation to transculturation.

3. Soprattutto, Chambers apprezza il Mediterraneo per la forza critica dell'incrociarsi storico delle sue acque, tanto che potremmo chiamare la sua proposta di "Maritime Criticism" come una proposta di "materialismo liquido".

4. Il meridionismo non è stata la sola filiazione dell'orientalismo saidiano: si vedano il "mediterraneismo" di Michael Herzfeld, il "balcanismo" di Maria Tororova, il "celticismo" di W.J. McCormack, l'"italianismo" di Matthew Reynolds.

5. P.B. Shelley, Julian and Maddalo: A Conversation (1818–19), v. 57.

riferimenti

Boswell, James. Life of Johnson. Oxford: Oxford U.P., 1965.

Brunetti, Bruno e Roberto Derobertis, a cura di. L'invenzione del Sud. Migrazioni, condizioni postcoloniali, linguaggi letterari. Bari: B.A. Graphis, 2009.

Cassano, Franco. Il pensiero meridiano. Roma-Bari: Laterza, 1996.

Chambers, Iain. Mediterranean Crossings: The Politics of an Interrupted Modernity. Durham, N.C.: Duke University Press, 2008.

Cazzato, Luigi, a cura di. Anglo-Southern Relations: From deculturation to transculturation. Lecce: Negroamaro, 2011.

Coleridge, S.T. Table Talk. 2 voll. The Collected Works of Samuel Taylor Coleridge. A cura di C. Woodring. Princeton: Princeton U.P., 1990.

Dainotto, Roberto M. Europe (in Theory). Durham/London: Duke U.P., 2007.

de Lesser, Creusé. Voyage en Italie et en Sicile fait en 1801 et 1806.

Dickens, Charles. Pictures from Italy. Londra: Penguin, 2008.

Hegel, G.W.F. Lezioni sulla filosofia della storia. A cura di G. Bonacina e L. Sichirollo. Bari: Laterza, 2010.

Luzzi, Joseph. "Italy without Italians: Literary Origins of a Romantic Myth". MLN 117 (2002).

Moe, Nelson. The View from Vesuvius: Italian Culture and the Southern Question. Berkeley, CA: California U.P., 2002.

Pfister, Manfred. The Fatal Gift of Beauty: The Italies of British Travellers. Amsterdam: Rodopi, 1996.

Praz, Mario. Bellezza e bizzarria. Milano: Mondadori, 2002.

Schneider, Jane. Italy's 'Southern Question': Orientalism in One Country. Oxford: Berg, 1998.

Shelley, P.B. The Letters of Percy Bysshe Shelley. Oxford: Clarendon Press, 1964.

 

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pubblicato il 6 gennaio 2015